Mi chiamo Marco Gastaldi, ho 24 anni amo il digital e il mio sogno è quello di utilizzarlo per amplificare l’inclusione sociale nel mondo della disabilità.

Sono una persona curiosa e appassionata anche di sport, ho infatti partecipato ad attività di “Vela senza barriere” organizzate dall’Associazione Sportiva Dilettantistica “Andora Match Race”. 

Come Valory Reporter non mi fermo mai e sono alla continua ricerca di personaggi che possano ispirarmi e nasce qui l’intervista a Giusy Versace, atleta paralimpica, vincitrice di numerosi titoli italiani nell’atletica leggera, primatista europea, finalista 200m alle Paralimpiadi di Rio2016, conduttrice televisiva e politica italiana. 

Ecco a voi le risposte di Giusy in merito alla Sua storia personale e sulla Sua associazione “Disabili no limits”.

Ammiro molto il Suo impegno per far conoscere il mondo della disabilità, per sollecitare il mettere al centro la persona nella sua globalità, nel creare reali possibilità di integrazione e di valorizzazione. Sul suo profilo Twitter cita una frase di San Francesco: ”Cominciate a fare il necessario, poi ciò che è possibile e all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile”. Com’è nata l’idea di creare l’associazione “Disabili no limits”?

– La Onlus nasce 10 anni fa nel momento in cui mi sono resa conto che lo Stato non copre la spesa di ausili e dispositivi di tecnologia avanzata che consentirebbero a tante persone con disabilità di migliorare la propria autonomia. Organizziamo eventi per promuovere lo sport come terapia strumento di inclusione sociale ma al tempo stesso raccogliamo fondi per donare protesi e ausili tecnologicamente avanzati e che oggi lo Stato non concede. In sintesi, cerchiamo di regalare un sorriso e nuove opportunità di vita. 

Spesso si sente parlare di resilienza come soft skill, ricercata in ambito lavorativo ma non solo. Cos’è per Lei questa qualità, come la definirebbe? 

– In sostanza la resilienza è quella capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi e questo concetto viene poi utilizzato anche per descrivere l’atteggiamento di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà. La nostra capacità di reagire ad eventi ci rende più o meno forti. E’ un lavoro anche e soprattutto mentale che chiunque può fare. Molto dipende anche dalla forza di volontà

Per una persona disabile è importante ambire alla realizzazione di un proprio “progetto di vita” che non si limiti solamente ad un puro assistenzialismo nelle azioni fisiche quotidiane ma che vada a coinvolgere anche altre sfere della vita, come ad esempio quella sociale e lavorativa. A Suo avviso, lo Stato come potrebbe garantire alle persone con disabilità questo diritto, affermato a livello legislativo ma spesso di difficile realizzazione concreta?

– In verità il diritto ad una piena inclusione sociale dipende molto dall’approccio culturale di una società e noi, sotto questo aspetto, abbiamo ancora molto da fare. Basterebbe che lo Stato desse il buon esempio lavorando meglio e di più per garantire quei diritti già proclamati dalla stessa Convenzione ONU del 2006 sui diritti delle persone con disabilità. Il tema vero è che non bastano le leggi, serve un lavoro più complesso e quotidiano di tutta la popolazione perché la società sia più inclusiva. Ha notato quante volte si incontrano barriere architettoniche in molti edifici e su molte strade nonostante ci siano leggi che ne chiedano l’abbattimento ? Quante volte i parcheggi dedicati a titolari di contrassegno disabili sono abusivamente occupati da gente arrogante e superficiale che non rispetta chi ha invece diritto a quel posto ? Come vede le leggi non sono la soluzione, serve più cultura e sensibilizzazione.

Secondo Lei quanto è importante per una giovane persona disabile avere una passione da coltivare come ad esempio un hobby o uno sport da praticare? Pensa che questo possa essere un valido strumento di integrazione sociale, al fine di mettere un diversamente abile in una condizione che sia “alla pari” di una persona normodotata? 

– Su questo tema con me si sfonda una porta aperta. Lo sport, lo dicevamo prima, rappresenta decisamente uno strumento di inclusione sociale. Per molte persone con disabilità rappresenta anche solo la banale scusa di uscire di casa, opportunità di confronto e di miglioramento personale non solo fisico, anche e soprattutto mentale. 

Crede che un canale di comunicazione responsabile come ValorY possa aiutare i giovani a creare un mondo più inclusivo? In che modo?

– Certamente. Non se ne parla mai abbastanza, la gente è troppo spesso distratta e superficiale su queste tematiche, dunque serve continuare a parlarne e sensibilizzare soprattutto i più giovani ad atteggiamenti più rispettosi e inclusivi. Basterebbe raccontare in modo intelligente le storie di chi ce l’ha fatta, di chi non ha mollato e non ha rinunciato a sorridere alla vita, di chi ha saputo rialzarsi e reinventarsi. I ragazzi hanno bisogno di esempi belli e sani. La vita non è facile per nessuno, a prescindere da come ti chiami o dal ruolo che ricopri; la differenza la facciamo noi in base a quanta dose di coraggio e determinazione impieghiamo. Difficile non vuol dire impossibile, ma solo difficile. Ed io voglio essere fiduciosa, certa che prima o poi l’approccio culturale nei confronti di chi vive con qualche difficoltà in più possa solo migliorare. 

Sicuramente la storia di Giusy Versace rappresenta un forte esempio di resilienza e di forza di volontà nell’ adoperarsi per la tutela dei diritti delle persone con disabilità. La piena inclusione sociale dei disabili è possibile e dipende non solo dalle leggi promulgate ma dalla loro effettiva attuazione e dalla cultura di una nazione. A mio avviso, la strada da percorrere per un’inclusione sociale e lavorativa completa è oggi ancora lunga, ma questo obiettivo potrà essere raggiunto in futuro se tutti daranno il proprio contributo.  

Marco Gastaldi