Pronti a progettare la Scuola del Futuro con Daniele Manni e Marcello Riccioni
Sapete chi ho avuto il piacere di conoscere? Danieli Manni e Marcello Riccioni: due prof esplosivi e vulcanici!
Ah io sono Diego, un Valory reporter appassionato e curioso di scoprire nuovi orizzonti e, nel campo della scuola, non potevo scegliere di meglio.

Prof Manni insegnante d’informatica dell’istituto tecnico economico Costa di Lecce, dopo esser stato per anni imprenditore, continua ora ad esserlo avendo però come soci i suoi studenti; infatti nelle ore scolastiche ogni sua classe si inventa una microimpresa da esportare nella realtà con tutti le possibili avversità, ma soprattutto gioie che esso comporta! Profe strambo -così è come Marcello Riccioni si fa chiamare dai suoi studenti- è professore in una scuola media di Brescia e, nonostante dovrebbe insegnare storia dell’arte, si occupa in verità delle opere d’arte più belle: gli studenti! Si prende cura dei problemi dei suoi alunni alleggerendo i pesi che portano, ma anche non lasciando mai di vista i genitori: le fondamenta che assieme agli insegnanti sostengono la scuola. Se vi starete chiedendo il perché abbia definito questi due insegnanti vulcanici, non è soltanto per quello che fanno come avete brevemente letto qualche riga prima, ma bensì perché hanno e infondono un’energia che non può lasciare impassibile chi gli ascolta: un qualcosa si accende, si muove, il cuore ha un’altra frequenza. Nell’intervista è stato toccato il tema della scuola con una proiezione futura: una scuola che progetta gli studenti, che gli getta avanti, perché così possano creare un qualcosa di loro, ma cosa ancor più fondamentale, perché possano prima di tutto formare loro stessi. La cosa fantastica è che tutto questo potrebbe realmente realizzarsi. Perché? Perché avviene già, ed io ho avuto l’onore di conoscere due persone che vivono questa realtà, e che ora mi hanno passato il testimone perché io a mia volta lo passi a voi.
Prima di lasciarvi, vi volevo dire che forse non riuscirete a capire tutto quello che ci sarà scritto, e non lo dico per spaventarvi, ma personalmente sento anch’io di non aver interiorizzato tutti i messaggi che mi hanno trasmesso: come se mi mancassero zone ancora da illuminare, ma va bene così.
Inoltre molto probabilmente, non sarete neanche d’accordo riguardo tutto quello che sarà detto, e anche questo va più che bene. Se ve la sentite vi aspetto nei commenti e su Valory per possibili confronti. Detto questo, prendete un bel respiro e buona lettura!
Prof, cosa vi ha fatto decidere di dedicarvi completamente alla scuola? C’è stato un momento in cui vi si sono illuminati gli occhi e avete deciso di intraprendere di petto questa strada? In particolare prof Manni, parlavi di come hai deciso di abbandonare il mondo della imprenditoria, dell’essere un “intraprenditore” per dedicarti totalmente alla scuola. Perché hai compiuto questo passo in avanti avendo la possibilità di fare sia l’insegnante che l’intraprenditore?

Se posso rubare un titolo a Marcello, perché sono strambo! Nasco imprenditore e lo sono stato da sempre. Da piccolo mi piaceva vedere una serie televisiva dove c’era come protagonista una strega che faceva le magie. Io però non mi concentravo tanto sulla strega, quanto invece sul marito di questa strega, che di mestiere faceva il pubblicitario. Sono sempre stato affascinato dalla creatività degli slogan e in generale da come venivano fatte le pubblicità: quindi posso dire che già {da piccolo avevo un po’ di propensione aziendale.} Dopo i miei studi universitari dove mi sono laureato in informatica, ho deciso di andare a cercare lavoro presso un negozio di computer. In tutto questo l’insegnamento era proprio l’ultimo dei miei pensieri, tanto è vero che quando poi sono venuto a Lecce a cominciare ad “intraprendere” varie aziende, sono stato corteggiato per un anno e mezzo da una scuola, dato che mancavano gli informatici. In verità però a quei tempi aspiravo a ben altro per star pensando alla scuola. Sono stato però “fregato” quando una collega che aveva diritto a sei ore di allattamento settimanali mi chiese di sostituirla per quelle ore solo per un breve periodo. Appena però misi piede dentro la scuola me ne innamorai immediatamente: questa fu una cosa che non avrei mai previsto. Poi come hai detto, da quel momento (dal 86’ fino al 99’) svolsi questa duplice vita: la mattina a scuola e nelle ore libere del pomeriggio intraprenditore. {In seguito ebbi una visione, che posso riconoscere come tale solo adesso; allora non sapevo bene che cosa fosse: era quella di abbandonare l’imprenditoria nel mondo del lavoro per trasferirla a scuola, avendo così i miei alunni come soci! L’idea di poter trasmettere ai ragazzi la voglia di intraprendere e di diventare imprenditori mi piaceva troppo, poi sommando il fatto che la scuola in cui insegno è un istituto tecnico, non poteva che essere un’idea adatta all’ambiente; e nonostante non ci sia paragone tra quello che guadagnavo prima e quello che poi ho cominciato a guadagnare facendo solo il docente, posso dire che non mi importa nulla, perché sono un forte sostenitore del fatto che nella vita bisogna fare ciò che si ama fare: bisogna fare di tutto per raggiungere la possibilità di fare nella vita un lavoro che si ama, perché se si riesce a conquistare questo obiettivo, la vita diventa più ricca e soddisfacente e le difficoltà che si incontrano sembrano meno insidiose, visto che tutto quello che si fa, lo si fa perché lo abbiamo scelto e non perché ci è stato imposto.

La mia storia inizia da studente con un disturbo specifico dell’apprendimento, in seguito sono diventato storico dell’arte e, da storico dell’arte, ho iniziato a fare l’insegnante. Poi come è anche successo al prof Manni, mi sono innamorato. Dentro questo ambiente scolastico ho avuto la possibilità di poter capire come ero io da studente e quindi c’è stata una sorta di empatia generata dai neuroni specchio, che dopo essersi creata, perdura nel tempo fino ad oggi. Infatti sono ormai più di 23 anni che insegno a scuola, ma mi sembra come sia stato ieri il primo giorno. In questo ambiente ho incontrato una serie di ambizioni, di talenti e {soprattutto sono riuscito grazie a loro, a capire quali erano le mie emozioni che erano state anche ferite e che erano entrate un po’ in corto circuito. In questo modo mi sono fatto curare dalla scuola e oggi cerco di riproporre questa medicina: è una medicina che credo parta dal presupposto che emotivamente e didatticamente l’alunno si possa formare nella sua totalità.} Se io riesco a tracciare le vostre emozioni e riesco a farvi capire quello che voi effettivamente provate, entrate nel merito del fare. Ecco allora che vi completo, e se vi completo, poi potrete andare a fare ciò che volete: cioè potrete prendere la strada che è più congeniale a voi stessi. {Ricordo che una volta feci un conto delle ore che gli studenti stanno a scuola dalla prima elementare alla quinta liceo e risultò una cosa come 12.630 ore. Mi chiesi quindi qual è il motivo per cui dopo 12.630 ora questi studenti vivessero: di ansie, di paturnie, di mal di pancia, di depressioni e soprattutto di insicurezze incertezze verso il loro futuro. Allora lì mi sono interrogato perché se un equipe pedagogica -perché la scuola è un equipe pedagogica- non era in grado di formare quella che è l’attività del sentire,del talento, di quello che vorreste fare: se non riesce a fare tutto questo, ecco che allora la scuola sta uccidendo il sogno, e se la scuola uccide il sogno, vuol dire che fallisce in un obiettivo che è quello del formare: perché si parte dal sogno per arrivare ad altro.

Colgo l’occasione per dire che parlo anch’io della visione di una scuola fatta proprio sull’impronta che raccontarvi tu Profe Strambo. Io immagino questa scuola dove a partire dalla quarta/quinta elementare continuando con la prima, seconda e terza media, i ragazzi trovassero una sorta di catalogo di stimoli, un atelier, dove durante questi anni vengono a scuola: il pilota aeronautico, quello che si occupa di moda, quello che si occupa di musica, quello che si occupa di agro alimentare, quella che si occupa di tecnologia che mostrerà le stampanti 3d i droni; in modo che i ragazzi possano realmente avere un ventaglio composto da tante sfaccettature della vita. In seguito, la scuola dovrebbe prestare attenzione a quando si accendono gli occhi dei loro alunni, per esempio: se viene un giornalista a scuola e scopro che a tre alunni gli si accendono gli occhi e che fanno domande, questo vuol dire che ho colpito la loro curiosità, quindi probabilmente lì c’è un canale da portare avanti. Il terzo passaggio che la scuola dovrebbe compiere è, una volta scoperta questa passione, offrire a tutti i ragazzi, proprio come fa una palestra, degli attrezzi e degli “allenatori” che guidano e fanno crescere gli studenti verso le loro passioni: le quali non per forza devono essere immutabili, ma che al contrario possono sfociare in nuovi e diversi ambiti che prima, se non approfondita la passione iniziale, non si sarebbero mai conosciuti. Tutto questo si dovrebbe fare perché compiendo questo percorso l’alunno può trovare e percorrere la sua personale via. Questa è la scuola che mi piace chiamare “studente centrica” dove è veramente lo studente al centro: ma non lo studente generico, ma ogni singolo studente. Perché in una classe di 24 alunni ce ne saranno 3 o 5 che sono attratti dalla tecnologia, altri 2 saranno attratti magari da un aspetto della scienza come l’ecologia. Se si riesce quindi a far crescere gli studenti verso le loro propensioni allora la scuola può veramente formare persone uniche proiettate con entusiasmo verso direzioni tra di loro completamente diverse.
Prof Manni, parli della scuola come una palestra di stimoli, definendola anche come S.P.A (Scuola Per Azioni). Come possono gli studenti, oltre ai docenti , entrare a far parte di questa “rivoluzione” per una scuola più “studente centrica”?
Il sistema scolastico attuale, tranne per poche eccezioni come: le assemblee di istituto e di classe, non concede molti momenti di piena libertà d’espressione agli studenti, i quali se propongono qualche idea vengono al massimo ascoltati, ma niente di più. Il sistema è talmente accartocciato su se stesso che diventa difficile introdurre una novità. Ho detto però difficile non impossibile! {Quello che potete fare è dopo aver osservato questi prof “extraordinari”, portare il loro esempio concreto nella vostra scuola e chiedere se si può replicare un qualcosa che si sta già applicando in un’altra parte d’Italia.} L’importante è saper utilizzare le parole giuste quando si fanno queste proposte, perché ovviamente (noi professori) siamo molto suscettibili, ma oltre a prestare attenzione a questo aspetto vi incoraggio a farlo. Dite: “Perché non sperimentiamo anche noi?”

E tu Profe strambo, perché vuoi aiutare i tuoi studenti e anche i loro genitori attraverso i tuoi libri e le tue conferenze?Perché oggi viviamo in una rete educativa dove non potrei mai escludere i genitori dall’educazione dei miei studenti: per il semplice fatto che {le fragilità degli studenti sono lo specchio di dimensioni familiari che spesse volte sono in difficoltà; quindi è da quella difficoltà, è da quel l’ingombro, che riesco a far trasmettere allo studente il messaggio che in quella difficoltà possiamo stare insieme.} Prima parlavo di come ero arrivato in un liceo di scienze umane con tutta la briga di fare lo storico dell’arte, volendo parlare di Michelangelo, Tiziano, Caravaggio, Bellini; ma di fronte avevo delle ragazze che non mangiavano, delle ragazze che si facevano schifo: come potevo parlare del bello mentre loro non mi capivano? Come potevo parlare del bello se nel mentre non riuscivano a comprendere quel grande mondo di bellezza che per esempio è la donna? Non è possibile capire Leopardi, Dante: non è possibile percepire la bellezza di un Michelangelo che va in crisi di fronte alla Sistina, se prima ci sono studenti che si fanno schifo. Il mio primo saggio per esempio venne proprio dedicato all’anoressia come trappola dell’anima: perché vedevo queste studentesse soffrire, soffrire di un vuoto che poi si è sempre più allargato; e questo vuoto oggi si chiama solitudine: {quindi come non pensare di non unire le forze oggi in questa dimensione di scuola che è una famiglia, come non pensare di non creare questa sana alleanza dove il genitore collabora con l’insegnante per il bene del figlio/studente!
Credete che il vostro straordinario modo di insegnare e interagire con gli studenti abbia “contagiato” anche il comportamento dei vostri colleghi?
Dopo anni di insegnamento e qualche calcolo, ho scoperto che da quando entro in una scuola nuova solitamente gli altri docenti impiegano dai due ai tre anni per capire che sto cercando di fare un qualcosa di diverso: non rivoluzionario, però qualcosa di esterno dell’intoccabile struttura rigida che è la scuola. {La scuola dovrebbe invece lasciarsi plasmare e toccare più spesso, proprio come avviene per il nostro cervello. Questo cambio dovrebbe avvenire prestando attenzione soprattutto al contesto sociale che muta di continuo, anche se nella realtà dei fatti noi insegnanti e l’intera istituzione rimaniamo troppo rigidi sull’omologazione.} Devo però anche dire che ho dei colleghi meravigliosi da una grande umanità: perché nel momento in cui accettano la mia diversità si crea questa sinergia, dove io imparo da loro a fare il coordinatore: perché sono un disastro nelle faccende burocratiche, e allo stesso tempo io accompagno loro nel momento in cui prendiamo in mano delle situazioni molto particolari di disagio di certi studenti.

Sfortunatamente questo non è il mio caso. Io insegno da 30 anni nella la stessa scuola, ma nonostante questo lunghi anni di permanenza, sono sempre stato considerato dagli altri colleghi come un docente fuorilegge: dato che abbandonavo i programmi ministeriali di informatica, completandoli soltanto in parte e dedicando invece la maggior parte delle lezioni a sviluppare nei miei alunni la creatività e l’innovazione. Questo atteggiamento nei miei confronti è continuato a manifestarsi fino a quando sono stato nominato tra i primi 50 possibili candidati al mondo ad una specie di Nobel per l’insegnamento, e da quel momento in poi i colleghi mi hanno cominciato a chiedere se potevano partecipare facendo qualcosa; e nonostante fossi felice di iniziare finalmente a collaborare, mi è sembrato molto brutto dover aspettare che il mio operato dovesse essere riconosciuto a livello mondiale prima che accadesse ciò: perché già prima tutti i miei studenti ricevevano premi e riconoscimenti in continuazione. {Tutti questi eventi mi hanno portato a riflettere riguardo una mia caratteristica che è riassunta nella seguente massima: “È più facile chiedere scusa che permesso”. Questo significa che a volte bisogna fare le cose senza chiedere permesso: perché se io avessi chiesto al preside della mia scuola se avessi potuto avviare questi progetti di micro imprese con gli studenti, molto probabilmente mi avrebbe detto no, e questo non perché avesse una colpa, ma perché non avrebbe proprio compreso la mia idea. Infatti non si può apprezzare quello che non si conosce,} quindi anche se avessi provato a spiegare agli altri quello che avevo in mente di fare, la risposta immediata sarebbe stata: “Non si può fare, visto che dobbiamo seguire i programmi ministeriali”. Al contrario nel momento in cui si vedono premi e riconoscimenti, a quel punto il preside non dirà certamente di fermare tutto, ma invece lascerà continuare; di conseguenza quello che all’inizio sarebbe stato un secco e duro “no” che avrebbe tagliato le ali ad un’idea che poteva avere un risvolto positivo, grazie ad una buona dose di intraprendenza e anche grazie ai risultati concreti di tale visione, ha trasformato quel no in un sì.
Secondo voi quale è il valore di un’intuizione che si concretizza? Quant’è la bellezza che una persona, adulta o giovane che sia, può apportare a quella che già è presente?
Nel mio caso questo tema è proprio pane quotidiano, perché diciamo che il mio lavoro è quello di trasformare le idee in concretezza. Mi piace moltissimo nel processo di creazione di una micro impresa quando insieme ai ragazzi del primo anno facciamo un brainstorming alla lavagna per capire quale può essere l’idea giusta e, senza che lo sappiano, faccio una foto ad idea trovata. Vengono a conoscenza della foto solo dopo 2/3 anni quando l’impresa è già stata avviata ed è funzionante. Gli riporto a quel momento iniziale dove tutto è iniziato da un semplice schizzo e LORO, SEPPUR INCONSCIAMENTE, SI ACCORGONO CHE HANNO FATTO UN’ESPERIENZA STRAORDINARIA: PERCHÉ HANNO TOCCATO CON MANO COME UN’IDEA, UNO SCHIZZO PUÒ DIVENTARE UN LAVORO: PUÒ DIVENTARE UNA PASSIONE E PUÒ ESSERE PORTATA NELLA REALTÀ. Sempre parlando del “valore potenziale” delle idee, questa mattina ho ricevuto un’email da uno studente che sta facendo la seconda quadriennale e che dice lo seguente: ” Salve prof, vorrei esporre un idea di un progetto di cui mi piacerebbe poter diventare il padre o il portavoce in italia o all’estero. Parto col dire che baso questa mia idea completamente sulla mia più grande passione e perché no, anche sulla mia più grande aspirazione lavorativa: la musica. Vorrei valorizzare tra i giovani della nostra scuola e anche delle altre scuole la musica suonata… “e continua questa mail con la spiegazione del progetto.Vi posso assicurare che di queste lettere ne ricevo circa 3 a settimana e, nonostante bocci il 2,5 delle 3 proposte, L’AVER CREATO UNA SORTA DI AMBIENTE SCOLASTICO DOVE I RAGAZZI MUOIONO DALLA VOGLIA DI DIRTI LA LORO IDEA È LA COSA PIÙ BELLA IN ASSOLUTO. Posso farvi un altro esempio: tre anni fa andai in una copisteria e vidi un un ragazzo che stava fotocopiando dei fogli programmati in linguaggio Java e, visto che sono un informatico, me ne accorsi e gli chiesi che cosa stesse facesse di bello con quei fogli. Mi disse che stava per diplomarsi, e quindi stava preparando questi fogli per consegnarli con la tesina alla commissione. Entusiasta gli feci altre domande su questa sua passione per la programmazione, e così parlammo per un po’, fino a quando gli chiesi che cosa ne pensassero i suoi professori di quello che faceva. Dopo una breve pausa, e guardandomi con degli occhi straniti, mi rispose: “E che cosa c’entrano i prof? Non sanno niente di quello che faccio”. In quel momento mi caddero le braccia: perché non è possibile che avendo 13 docenti che hanno accompagnato uno studente per cinque anni, essi non possano essere minimamente a conoscenza di questa sua passione!

Scusa per queste note a piè di pagina, però è proprio così! In un esame di maturità ricordo che facevo parte della commissione e, alla domanda che cosa ti piacerebbe fare tra un’ora dopo l’esame, la candidata aveva risposto che le sarebbe piaciuto iscriversi alle facoltà di medicina ed ingegneria. La guardai e le dissi: “Ammirevole questa duplice ambizione, ma ti vedi con un camice a curare bambini o con casco all’interno di un cantiere?”. C’è quindi questa necessità e bisogno di dare una direzione al proprio sentire; e questo direzionamento viene dato da un approccio diverso all’apprendimento. Sono d’accordo con il neurofisiologo Fisher quando dice che l’apprendimento non è riportare all’insegnante le informazioni nello stesso medesimo modo in cui sono state impartite, ma, al contrario, consiste nel trasmettere la propria rielaborazione personale: l’apprendimento consiste nella comunicazione empatica dei sentire delle persone. Io dico che oggi, in questo momento storico, la scuola deve aderire a questo sistema di informazione: perché se aderiamo a questo sistema di apprendimento, riusciamo veramente a far diventare il talento un fuoco d’artificio; e allora “gemmiamo” insieme a loro, facendoli accompagnare da noi. Questa però è una proiezione che si scontra con quello che accade ancora: tuttora si sottolinea in rosso. Quando noi docenti sottolineiamo, non pensiamo che i nostri studenti mentre studiano sottolineano, e non pensiamo il fatto che quando noi sottolineiamo l’errore loro pensano che è l’errore la cosa più importante. L’errore non sta a significare che tu studente non hai capito, ma al contrario ti sto dicendo che da questa cosa: da questo errore, tu puoi portarmi verso un’altra. Se un alunno sbaglia dodici a con l’acca: ma perché devo sottolineare tutte e dodici le a con l’acca, se di errore ne ha fatto solo uno? Ribadisco ancora il fatto che ci troviamo in questo sistema molto disarmonico, che forse 70/80 anni fa funzionava quando si “disegnava” la calligrafia e quando a scuola funzionava una certa rigidità: che in verità era una saggezza intrinseca al sistema sociale dell’epoca. Oggi invece dobbiamo cambiare la scuola partendo dalla scienza umana per ritornare nell’umano: dobbiamo fare tutto questo per uccidere questa pandemia che si chiama anche covid-19 ma che in verità si chiama solitudine.
Prof Manni, Come può un giovane con un’idea iniziare una start up o il proprio sogno?
Il principale consiglio che darei ad un giovane che ha un’idea da concretizzare è quello di bussare a qualche start up locale per chiedere aiuto: perché in ogni città ci sono delle start up e spesso queste piccole imprese essendosi costituite dal nulla sono ben disposte ad aiutare giovani con proposte da realizzare. Mi collego anche al discorso di prima sul mio progetto di scuola: in questa visione la scuola viene aiutata dalla collaborazione con altre figure professionali che instradano gli studenti verso le loro passioni. Vi racconto un aneddoto che presenta perfettamente questa mia visione: una volta un gruppo di studenti che aveva vinto un premio per una loro micro impresa venne intervistato da una troupe televisiva e uno tra i ragazzi fissava in continuazione la telecamera a spalla del cameraman. In seguito gli si era avvicinato, e gli aveva iniziato a chiedere la funzione dei vari pulsanti presenti sulla camera continuando così a fare altre domande. Lì avevo capito che c’era della curiosità e così decisi di contattare degli amici videomakers per sapere se potevano accogliere qualche pomeriggio il ragazzo. Mi risposero di sì e lo studente iniziò ad andare a questi incontri. Ora vi chiedo: “Dove sta lavorando adesso questo ragazzo?”. Esatto! Sta lavorando in uno studio. Questo ci fa capire che io singolo insegnante non posso conoscere tutte le passioni dei miei studenti, ma quello che sì posso fare è chiamare chi sa di più per aiutarli e continuare a nutrire i loro desideri.
Prof. Manni, hai provato a darti una spiegazione sul perché sei stato l’unico in Italia e tra i molti pochi al mondo a provare a fare concrete start up con giovani tra i 14 e 18 anni? Se sì come te lo spieghi?
Sinceramente devo dire che non me lo sono mai chiesto, e ho scoperto questa mia unicità soltanto grazie al premio. Prima della “nomination” sapevo che a Lecce non ce n’erano di insegnanti come me, forse non ce n’erano neanche in Puglia, però per me era scontato che ci fossero tante di queste esperienze in giro. Pochi mesi fa mi è venuta inoltre una riflessione che non so spiegarmi. Dopo che ho riletto per l’ennesima volta una famosa frase di Gandhi, che è la seguente: “Sii il cambiamento che vuoi vedere.”, mi sono reso conto che probabilmente inconsciamente mi sono creato la scuola che avrei voluto frequentare: ho capito come al me quattordicenne sarebbe piaciuto stare in una scuola con dei prof che chiedevano e facevano fare le cose che chiedo e faccio fare oggi.
Prof Manni, se avessi la possibilità di reincontrare il te stesso adolescente, che cosa gli diresti?
Bella, ma allo stesso tempo difficile domanda! Risponderei banalmente col dire quello che dico oggi ai miei studenti quattordicenni: che cioè ogni ragazzo o ragazza possiede la potenzialità di fare cose straordinarie. Quando vado alle scuole medie a parlare agli studenti di solito faccio l’esempio di come i loro attuali idoli che siano: un cantante famoso, un calciatore o un influencer, all’età di 11 anni non andavano certamente a scuola camminando su un tappeto rosso o firmando autografi, ma erano, come tutti gli altri, dei normalissimi studenti. Solo dopo, seguendo una strada a loro congeniale sono diventati gli idoli di molti; quindi che cosa vi impedisce di realizzarvi pienamente e poter essere anche un esempio per gli altri? Un grosso problema è quello che non vi viene detto che ognuno di voi ha dentro di sé un fuoco che arde. Lo scopo della scuola sarebbe prima di tutto quello di consapevolizzare riguardo questo dono creativo; ed in seguito ad aver identificato cosa fa ardere il cuore, indirizzarvi verso tale direzione. Tutti siamo creativi e se è certo che alcuni sono dei “creatori eccezionali” che non fanno che inventare dalla mattina alla sera, è anche vero che ognuno di noi può iniziare a guardarsi intorno ed osservare la propria vita come se fosse la prima volta: passo dopo passo; analizzando cosa funziona e cosa no. Dopo che avete fatto ciò, potete chiedervi come risolvere o cambiare le situazioni che ritenete problematiche, e sperimentare in base a quello che avete riflettuto per vedere se cambia qualcosa. Quando applico questo metodo con i miei ragazzi vedo sempre come gli si illuminano gli occhi, a tal punto da sembrare che abbiano assistito ad un miracolo; ciò però avviene “semplicemente” perché nessuno gli ha mostrato questo modo di vedere le cose in tutta la loro vita.
Prof Manni, hai avuto un mito o un mentore che ti ha aiutato quando eri più giovane?
No. Infatti quando ho iniziato a insegnare nel 1986 insegnavo come fa il 99% dei docenti: andavo in aula, spiegavo, interrogavo e poi mettevo i voti. Poi sono cambiato, e per spiegare il motivo per cui sono cambiato, devo precisare che insegno informatica, e che negli anni 80’ informatica era pura programmazione: dove o eri uno dei 4/5 “nerd” della classe e riuscivi a seguire, oppure appartenevi al resto degli studenti che rimanevano nel buio totale. Avrei potuto incolpare gli studenti, ma invece incolpavo me stesso di non essere stato capace ad aver catturare la loro attenzione. Dopo aver individuato il problema che era: “Come faccio ad incuriosirli?”, ho iniziato a sperimentare. Questo mio modo di pensare lo porto anche nei consigli di classe. Quando si parla degli studenti che vanno male, invece di affermare il fatto che siano svogliati e perennemente distratti, riconoscendo loro come il problema, dovremo esaminare noi stessi in quanto professori chiedendoci se la loro distrazione sia causata dal fatto che noi insegnanti non siamo capaci di attrarre voi studenti. Lo stesso discorso lo potremmo fare con chi va bene: se vedo che uno o più studenti vanno spediti in una materia, perché dovrei mai limitarli alla lezione programmata? Solo per fare un esempio: do libertà di agire a quei 2/3 nerd che ci sono in ogni classe non ostacolando il loro apprendimento. Alcuni di essi sono così avanti in informatica che riescono a fare siti migliori dei miei che li faccio da più di 15 anni! Questa, tornando sempre a prima, è la mia visione di scuola studente centrica, dove ogni studente va visto con la sua individualità, e se deve essere aiutato lo aiutiamo veramente, e se deve essere “lanciato”, lasciamogli la strada libera e facciamogli conoscere persone ed esperti che sanno più di noi. Non cadiamo nella trappola di chiuderci in noi stessi privando i nostri alunni di possibili stimoli esterni solo perché temiamo che poi la classe non riuscirà più a seguire. Capisco che io dicendo tutte queste cose la faccio facile, ma se le racconto e perché le esperimento tutti i santi giorni; quindi non sono il teorico docente universitario che tira fuori la teoria dal cilindro, al contrario, sono uno che viene dalla strada, anzi: dall’aula! Dove le faccio queste cose e dove soprattutto funzionano!
L’intervista è finita. Se volete potete rileggerla, ma quando tornerete qui, alla conclusione, troverete la parola “FINE”, e la domanda che io mi pongo e che propongo anche a voi è la seguente: “Cosa farete dopo aver letto questa intervista?”; e non me ne uscirò con la morale del “o deciderete di cambiare il mondo oppure rimarrete come prima come se nulla fosse accaduto.” Quello che vi esorto a fare è riflettere su quello che avete letto. Cosa vi ha colpito? Lasciatevi 5 minuti liberi per creare, per plasmare e reinterpretare quello che io a mia volta ho reinterpretato e condiviso. Che idee vi vengono? Che riflessioni, obiezioni spuntano? Mi raccomando! Scrivetele: perché si dissolvono come nebbia! Ora dopo aver fatto ciò, se sentite questa spinta a condividere quello che avete creato: condividete. Se sentite la necessità di tornare e digerire quello che è entrato nel vostro essere: digerite. Se invece avete creato il nulla: siatelo.
Prima di salutarci! Nell’articolo ho dovuto tagliare discorsi e riflessioni molto significative ed edificanti: una fra tante la storia di come il prof Manni era da studente; quindi se volete ascoltare l’intervista integrale con le espressioni facciali e i toni di voce che non sono riuscito a catturare con le parole, potete trovarla su Valory App.
A presto,
Diego Patrizio
